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17/18/19 ottobre 2019
Cagliari, Rettorato Università / Lazzaretto

In collaborazione con Università di Nanterre, Università di Granada, Università di Amsterdam Cosmopolitanismis back. Il dibattito sul cosmopolitismo è oggi più che mai (ri)aperto. Geografi, storici, archivisti, antropologi, genetisti, studiosi di letteratura coinvolti nel progetto COSMOMED ragionano insieme sulle possibilità e le capacità delle società di costruire forme di convivenza nella complessità identitaria e culturale del passato e del presente. Il convegno, in articolazione con una mostra-laboratorio (Tracce e Cosmolab) e uno spazio biblioteca (Transiti), rilegge in questa prospettiva le tracce di situazioni cosmopolite attraverso migrazioni e diaspore, memorie collettive e individuali, processi di valorizzazione di patrimoni culturali, pratiche sociali e influenze dell’altrove nel contesto europeo, africano, mediterraneo e sardo.
Comitato scientifico Francesco Atzeni, Raffaele Cattedra (coordinatore del progetto), Andrea Corsale, Tatiana Cossu, Valeria Deplano, Maria Luisa Di Felice, Eva Garau, Monica Iorio, Cecilia Novelli, Luciano Marrocu, Maurizio Memoli, Marcello Tanca, Cecilia Tasca, Felice Tiragallo.
Comitato Organizzatore Cinzia Atzeni, Raffaele Cattedra, Valeria Deplano, Gianluca Gaias, Eva Garau, Stefano Pisu, Rachele Piras

1. APPARTENENZE E IDENTITÀ, CONDIVISIONI E ESCLUSIONI
Coordina Francesco Atzeni (Dip. di Lettere Lingue e Beni Culturali, UniCa)

Raffaele Cattedra (Dip. di Lettere Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Introduzione ai lavori. Tracce di cosmopolitismo: una (nuova) prospettiva per leggere il mondo?

Il Cosmopolitismo è un termine molto antico. Ha quasi 2500 anni. Deriva come sappiamo dal greco. È un’espressione che rimanda alla concezione del Mondo – il κόσμος, il cosmo, l’universo ordinato – e a chi lo abita: il cittadino, il πολίτης. Di un Mondo inteso come una grande Polis che abbraccia il pianeta tutto. Attraversando la storia e i luoghi del Mondo, il significato ideologico, societale e politico del cosmopolitismo è mutato. Si è continuamente trasformato e continua a farlo, assumendo molteplicità di accezioni. Ma la parola è ancora qui oggi: ad animare il dibattito della ricerca universitaria, il dibattito della sfera politica e di quella civile. Ma il cosmopolitismo è anche prassi sociale. Pratica individuale, cosciente o inconsapevole, o prassi collettiva: pratica ordinaria del quotidiano e del territorio, operatoria, esplicita, situata o conflittuale che sia. E ciò vale tanto nel passato, che nel Mondo globalizzato e digitale della nostra  contemporaneità transnazionale, purtroppo non esente da derive di disumanizzazione. “Quali sono le capacità delle società a integrare e mobilitare le ‘pluralità di appartenenze’”? si chiede il filosofo Pascal Bruckner (Le vertige de Babel, 2000). La nostra lettura del cosmopolitismo – quella di Cosmomed – scevra dal ritenersi elogio acritico di una società armonica, priva di tensioni o di conflitti fra gruppi, comunità o minoranze nello spazio della Terra, va colta come un’indagine e un’interrogazione sulle possibilità pragmatiche che hanno le società di costruire forme di convivenza e d’inclusione nella complessità identitaria e culturale, in particolare nelle geografie del Mediterraneo. Il “mare di mezzo”, fatto di approdi, di scali e di transiti e d’incontri; ma anche di esodi, di frontiere liquide, di scontri e di naufragi.

Paolo Francalacci (Dip. di Scienze della Vita e dell’Ambiente, UniCa)
Radici genetiche e identità della Sardegna e del Mediterraneo

Se è noto a tutti che il DNA contiene le informazioni necessarie a “costruire” un essere vivente, forse si è meno consapevoli del fatto che la molecola che tutti noi portiamo nelle nostre cellule è il risultato di milioni di anni di evoluzione biologica, e la variabilità che la contraddistingue racchiude la storia di tutti i predecessori che ce lo hanno trasmesso, dagli organismi ancestrali fino ai nostri antenati più recenti. L’identità biologica attorno alla quale costruiamo una identità culturale e sociale deve quindi necessariamente tenere conto delle modalità di trasmissione e variazione delle diverse componenti del nostro genoma. I cromosomi cosiddetti autosomici, ovvero quelli che vengono trasmessi da entrambi i genitori e subiscono meccanismi di ricombinazione, riflettono la “geografia” delle regioni in cui hanno vissuto le generazioni che ci hanno preceduto, mentre le porzioni del genoma che vengono ereditate in modo uniparentale (il cromosoma Y in linea paterna, e il DNA mitocondriale in linea materna) raccontano storie lineari molto antiche e spesso diverse e distanti tra di loro.
L’analisi della variabilità del genoma nelle sue varie componenti permette quindi di ricostruire non solo l’identità personale, ma anche quella di un popolo o di una regione geografica, e invariabilmente ci mostra come questa sia il risultato di migrazioni, di mescolamenti, di flussi di popolazioni antiche e moderne: molte storie diverse che si intrecciano e che hanno provenienze che ci indicano quanto la specie umana sia mobile e cosmopolita. In questa ottica verrà inquadrato il popolamento umano della Sardegna nel contesto mediterraneo,  studiandone la diversità genomica analizzata nella popolazione attuale.

Luciano Marrocu (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Cosmopolitismo intellettuale mediterraneo nella prima metà del Novecento: percorsi e problemi

Basili Khouzam era nato nel 1927 a Bengasi, in una famiglia di cristiani d’Oriente di origine siriana (il padre era arrivato a Bengasi nel 1911, in coincidenza e forse in corrispondenza con l’occupazione italiana). Trasferitosi con la famiglia a Milano nel 1940, a Milano avrebbe fatto i suoi studi universitari nella facoltà di Lettere e iniziato la sua attività di narratore, sin dall’inizio e sempre in italiano e sotto lo pseudonimo di Alessandro Spina. Basili Khouzam avrebbe per qualche anno fatto ritorno a Bengasi, per dirigere dopo la morte del padre l’azienda di famiglia. Ciò che colpisce nella biografia di Alessandro Spina è la brusca immediatezza (e l’apparente mancanza di problematicità) con cui l’uomo e lo scrittore abbracciano una lingua e un universo culturale altri rispetto a quelli della famiglia d’origine.
Da questa vicenda biografica, per molti versi estrema, si cercherà di trarre qualche riflessione sulle condizioni e le circostanze che vedono gli intellettuali di origine cristiano orientale muoversi all’interno di un ambito culturale, quello mediterraneo nella prima metà del Novecento, caratteristicamente fluido.

Silvia Contarini (Dép. d’Etudes italiennes, Université de Nanterre)
Città multietniche nella letteratura italiana della migrazione

Attraverso due libri ascrivibili alla cosiddetta letteratura della migrazione, Immigrato (1990) di Salah Methnani e Mario Fortunato, e Milano, fin qui tutto bene (2012) di Gabriella Kuruvilla, pubblicati a oltre vent’anni di distanza, mi propongo di riflettere – senza la pretesa di analizzare la dimensione spaziale del fenomeno migratorio nelle città italiane – su alcune significative rappresentazioni della città, di quartieri multietnici e di spazi di condivisione, comunità, segregazione.

Eva Garau (Dip. Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Identità e alterità nel discorso pubblico italiano: istituzioni, partiti e legislazione

Sin dalla seconda metà del XIX secolo la rilevanza dei movimenti migratori inizia a costituirsi quale elemento fortemente caratterizzante le democrazie occidentali, sia per quanto riguarda i numeri degli arrivi, sia per le politiche messe in atto dai singoli Stati. Con la fine degli anni Sessanta, si avviano i primi dibattiti su concetti cardine quali quelli della cittadinanza, delle regole formali per la sua attribuzione e delle interpretazioni del ruolo dello Stato-nazione nei processi di accomodazione della differenza, mentre iniziano a delinearsi dei pattern precisi nella rappresentazione dello straniero nel discorso mediatico in contesti culturali, linguistici, sociali e religiosi fino a pochi decenni prima generalmente omogenei. Il 1973 e la crisi petrolifera rappresentano il punto di svolta simbolico che delinea il passaggio tra l’epoca delle migrazioni dirette verso il nord Europa a quella in cui i paesi meridionali si trasformano in “paesi riceventi”. Il paper si propone di esaminare il caso dell’Italia attraverso l’analisi del discorso pubblico veicolato da istituzioni, partiti e pressure group, soffermandosi in particolare sul ruolo della Chiesa cattolica, della Lega Nord e dei testi di legge nel riconoscere e affrontare, spesso tardivamente e in maniera emergenziale, un fenomeno a lungo considerato transitorio e occasionale. Nel ripercorre lo sviluppo e l’affermazione di un discorso sulla cittadinanza e sull’alterità che si riflette nella formulazione di una legislazione restrittiva e identitaria, l’intervento si propone di analizzare la figura dello straniero e il concetto di multiculturalismo, prestando particolare attenzione al processo di normalizzazione dell’esclusione e alla reciproca influenza tra
narrazione e legge

2. SARDEGNA COSMOPOLITA ?
Coordina Giovanni Sistu (Dip. di Scienze Politiche e Sociali, UniCa)

Cecilia Tasca e Mariangela Rapetti (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Tracce di ebraismo in Sardegna fra esodi e ritorni

Le fonti storiche romane attestano la presenza di ebrei in Sardegna già dai tempi di Tiberio (14-37 d.C.).  Successivamente, non si hanno fonti archeologiche e documentarie che attestino vere e proprie comunità fino al IV secolo. Gli ebrei sono presenti anche nel VI secolo, come dimostrano due lettere di Gregorio Magno (590-604) riguardanti i rapporti tra la Chiesa di Carales e la locale comunità ebraica. Tra il VII e l’XI secolo le fonti sono silenti, ma questo fatto non deve essere interpretato come un allontanamento delle comunità ebraiche dall’isola. Si dovrà
attendere il XIV secolo per una nutrita documentazione sulle aljamas delle maggiori città sarde, Cagliari e Alghero soprattutto, animate da una intensa attività commerciale.
Le comunità sarde si sciolsero a seguito degli editti di espulsione promulgati da Ferdinando II nel 1492: la maggior parte delle famiglie partì dall’isola, mentre un buon numero rimase in Sardegna e abbracciò il cattolicesimo. Dopo l’allontanamento, per qualche secolo, si contano in Sardegna solo gruppi di conversos, spesso imparentati tra loro o comunque legati da attività commerciali. È nel corso dell’Ottocento e ai primi del Novecento che si intensifica di nuovo la presenza degli ebrei nelle città sarde, ma non si assiste più alla costituzione di una vera comunità. Si tratta soprattutto di professionisti e docenti, che si recano in Sardegna per questioni legate al lavoro o alla carriera accademica. E sarà proprio la vita accademica a
scandire un nuovo momento di esodo, con l’allontanamento, nell’autunno del 1938, dei suoi docenti ebrei.

Cecilia Novelli (Dip. di Scienze politiche e sociali, UniCa)
La Sardegna guarda il mondo: i Murales di Orgosolo

I primi murales sono stati fatti ad Orgosolo nel 1968 dal gruppo anarchico milanese Dyonisos. Il periodo di massima espressione è poi continuato negli anni Settanta, ma ancora oggi vengono dipinti sempre nuovi murales. I temi sono sempre stati quelli della lotta di classe: pacifismo, socialismo, giustizia sociale, corruzione, povertà. Dal punto di vista artistico riprendono i tratti squadrati del cubismo e dell’arte di denuncia sociale. Nei contenuti c’è una grande attenzione alle grandi questioni della storia mondiale: dall’immigrazione al colonialismo, il colpo
di stato e la morte di Salvador Allende e la caduta di Saddam Hussein. Tanto da mettere la Sardegna al centro del mondo

Carlo Di Bella (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Il mondo guarda la Sardegna: fotografie e sguardo esterno nel secondo dopoguerra

L’intervento propone spunti di riflessione storico-culturali sulle modalità in cui la Sardegna è rappresentata nel Secondo Dopoguerra utilizzando alcune immagini di un piccolo campione di fotografi (Federico Patellani, Carlo Bavagnoli, Wolfgang Suschitsky) collocandoli in un lavoro di ricerca più ampio che ha coperto gli anni Cinquanta e Sessanta e ha preso in considerazione anche altri autori, opere monografiche e riviste. Poiché si vuole indagare la ricezione della rappresentazione nell’immaginario collettivo, ci si concentra sul pubblicato e si lascia sullo
sfondo, come termine di confronto, il corpus archivistico delle immagini, dei provini o dei negativi. Si intende insomma sottolineare l’importanza dell’immagine come fonte ed esito di un’operazione editoriale a cui il fotografo partecipava con un ruolo fondamentale ma di cui non era unico responsabile. Dopo un rapido inquadramento storico e metodologico, si affronta una breve panoramica di immagini esemplificative, che è seguita da considerazioni conclusive sui meccanismi di formazione della molteplice identità pubblica dell’isola.

Maria Luisa Di Felice (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
«Arborea sembrava il deserto del Sahara». Flussi migratori e conflittualità nella piana di Terralba

La bonifica della piana di Terralba-Arborea venne realizzata dalla SBS (Società Bonifiche Sarde), nata nel 1918 per risanare, colonizzare e destinare all’agricoltura circa 20 mila ettari, invasi dalle paludi e devastati dalla malaria. Il progetto di radicale trasformazione intendeva modificare l’ambiente naturale e socio-economico della piana sulla quale, fondata Mussolinia (1928), oggi Arborea, la SBS esercitò un potere quasi assoluto fino al secondo dopoguerra quando, nel 1956, venne assorbita dall’ETFAS, l’Ente sardo preposto alla riforma agraria.
Nella piana, la bonifica manifesta ancora oggi tratti assai distintivi che si rivelano nel territorio interessato dall’intervento risanatore e nella realtà urbana, frutto di complesse dinamiche scaturite in un contesto assai problematico a livello ambientale e sociale. Sulle alterne vicende della piana e del suo centro urbano hanno inciso in modo strutturale i movimenti migratori che, funzionali ai progetti imprenditoriali della SBS, hanno suscitato sin dal principio una forte conflittualità tra l’azienda e le famiglie mezzadrili emigrate dal nord-est della penisola da un lato e dall’altro le comunità sarde residenti, sentitesi private delle proprie terre e dei propri progetti di bonifica a vantaggio di uomini e imprenditori esterni alla compagine isolana.
Conclusa l’esperienza della SBS, rimasta isolata entro i confini della propria area aziendale, il difficile rapporto tra il mondo della bonifica e le comunità limitrofe si è riacutizzato negli anni Cinquanta, sviluppando steccati e divisioni da entrambi i fronti per assumere i connotati di un’accesa conflittualità politica e sociale. Risolte solo parzialmente con la redistribuzione poderale, le distanze restano tuttora latenti, espressione di divergenze che, maturate a diversi livelli, ora interessano soprattutto l’ambito sociale e culturale. È ancora di là da venire una coesistenza
che, accantonati i contrasti focalizzati sui pregiudizi identitari, miri a valorizzare pienamente il patrimonio comune di una società che oggi, per le giovani generazioni, è il frutto dei legami quotidianamente tessuti tra gli eredi dei pionieri emigrati e il mondo contadino sardo, ma per le generazioni precedenti ha solo “di fatto” superato prevenzioni e divisioni.

Felice Tiragallo (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Cosmopolitismo e costruzioni di identità nel mondo minerario sardo

Nei distretti minerari sardi nel corso del Novecento si sono svolte importanti dinamiche d’integrazione sociale, materiale e culturale. Molti protagonisti della vita degli impianti piombo-zinciferi dell’Iglesiente, o di quelli carboniferi di Serbariu, Seruci e Nuraxi Figus venivano da fuori, con progetti di vita a volte voluti, a volte frutto di scelte casuali. Le comunità a base multiculturale che presero vita anche grazie a loro, fra tutte Iglesias e Carbonia, pur con storie diverse, sono state dunque composte da donne e uomini di diversa provenienza, da ambiti italiani ed europei. Essi hanno animato intrecci sociali, culturali, affettivi, familiari di profonda e durevole traccia, molto oltre la vita economica delle stesse miniere. Le voci dei minatori non sardi qui studiate, documentate tramite il video, possono iniziare a fondare un discorso su queste singolarità biografiche, legate al grande meccanismo di omologazione delle dialettiche culturali della miniera moderna come produttrice di senso economico, di rapporti sociali e di potere e di nuove identità culturali collettive

Stefano Pisu (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Da Carloforte e Arborea: Giacomo Covacivich sindaco sardo e cosmopolita di origini dalmate

L’intervento traccerà il profilo di Giacomo Covacivich, rilevante figura di politico e di amministratore nella Sardegna fra il secondo dopoguerra e i primi anni Sessanta. Nato a Carloforte da padre di origini dalmate e madre di provenienza ligure, nel 1949 fu eletto nel primo Consiglio regionale delle Regione autonoma della Sardegna.
Per la sua autorevolezza ed esperienza, politica e personale, nelle questioni relative alle comunità miste fu il candidato della Democrazia Cristiana alle elezioni amministrative di Arborea del giugno 1952. Durante il suo mandato sostenne le rivendicazioni dei coloni mezzadri della Società Bonifiche Sarde (per la gran parte di origini venete) che miravano all’assegnazione dei poderi, nell’ambito della riforma agraria gestita dall’Etfas. Si adoperò per evitare che la lotta per terra scivolasse sul crinale della contrapposizione secondo una demarcazione di tipo geografico e culturale. Fece di tutto per neutralizzare qualsiasi degenerazione della controversia sulle terre del comprensorio in termini di conflitto fra “emigrati” e “locali”, mostrando una spiccata sensibilità verso la necessità di riconoscere i diritti acquisiti dalle famiglie di lavoratori giunte sull’isola oramai da decenni. Nella sua attività di consigliere regionale nelle prime tre legislature (1949-1961) si fece promotore di molteplici iniziative per lo sviluppo economico e sociale sardo, con un’attenzione specifica verso Carloforte e La Maddalena. Nella quarta legislatura – fra il 1961 e il 1963 – fu nominato assessore ai trasporti e al turismo della giunta Corrias. Una nomina significativa vista l’origine “marittima” della sua famiglia, esempio di mobilità e cosmopolitismo mediterraneo e considerata la sua esperienza ad Arborea. Da assessore ai trasporti e al turismo si occupò di potenziare i collegamenti de La Maddalena e di Carloforte con l’isola madre. Nel 1963, quando ricopriva la carica di assessore regionale al turismo, fu uno dei pochi a criticare il progetto di costruzione della raffineria Saras vicino a Sarroch. Concluse la sua esperienza alla Regione Autonoma della Sardegna nel 1965.

Stefano Pisu (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Da Carloforte e Arborea: Giacomo Covacivich sindaco sardo e cosmopolita di origini dalmate

L’intervento traccerà il profilo di Giacomo Covacivich, rilevante figura di politico e di amministratore nella Sardegna fra il secondo dopoguerra e i primi anni Sessanta. Nato a Carloforte da padre di origini dalmate e madre di provenienza ligure, nel 1949 fu eletto nel primo Consiglio regionale delle Regione autonoma della Sardegna.
Per la sua autorevolezza ed esperienza, politica e personale, nelle questioni relative alle comunità miste fu il candidato della Democrazia Cristiana alle elezioni amministrative di Arborea del giugno 1952. Durante il suo mandato sostenne le rivendicazioni dei coloni mezzadri della Società Bonifiche Sarde (per la gran parte di origini venete) che miravano all’assegnazione dei poderi, nell’ambito della riforma agraria gestita dall’Etfas. Si adoperò per evitare che la lotta per terra scivolasse sul crinale della contrapposizione secondo una demarcazione di tipo geografico e culturale. Fece di tutto per neutralizzare qualsiasi degenerazione della controversia sulle terre del comprensorio in termini di conflitto fra “emigrati” e “locali”, mostrando una spiccata sensibilità verso la necessità di riconoscere i diritti acquisiti dalle famiglie di lavoratori giunte sull’isola oramai da decenni. Nella sua attività di consigliere regionale nelle prime tre legislature (1949-1961) si fece promotore di molteplici iniziative per lo sviluppo economico e sociale sardo, con un’attenzione specifica verso Carloforte e La Maddalena. Nella quarta legislatura – fra il 1961 e il 1963 – fu nominato assessore ai trasporti e al turismo della giunta Corrias. Una nomina significativa vista l’origine “marittima” della sua famiglia, esempio di mobilità e cosmopolitismo mediterraneo e considerata la sua esperienza ad Arborea. Da assessore ai trasporti e al turismo si occupò di potenziare i collegamenti de La Maddalena e di Carloforte con l’isola madre. Nel 1963, quando ricopriva la carica di assessore regionale al turismo, fu uno dei pochi a criticare il progetto di costruzione della raffineria Saras vicino a Sarroch. Concluse la sua esperienza alla Regione Autonoma della Sardegna nel 1965.

Francesco Bachis (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Due o tre cose che so di lei. Note etnografiche dal progetto “Migrantour”

Nell’estate del 2018 ho partecipato, come formatore, al nodo cagliaritano di “Migrantour”, un progetto europeo per cittadini migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Scopo del progetto era promuovere nuove narrazioni dei luoghi a partire dal coinvolgimento diretto di giovani “venuti dall’immigrazione” (migranti di lunga presenza, richiedenti asilo insediati di recente nel panorama urbano, giovani di “seconda generazione”). Nelle fasi didattiche che ho seguito, a partire da una sintetica formazione alla osservazione e scrittura etnografica dei luoghi, i partecipanti sono stati invitati a proporre una breve etnografia di spazi ed eventi significativi a Cagliari e nell’area vasta e a proporne la lettura pubblica. È emersa una narrazione inedita e a tratti spiazzante dell’attaccamento a luoghi specifici (chiese, piazze, locali pubblici etc) che proverò a restituire interrogando i testi dei partecipanti e le mie riflessioni auto-etnografiche a partire da una analisi critica dei concetti di appartenenza e cosmopolitismo.

3. IL MEDITERRANEO COSMOPOLITA IERI E OGGI
Coordina Olivetta Schena (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)

Giampaolo Salice (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Diaspore greche nel Mediterraneo moderno (XVII-XVIII secolo)

La diaspora greca è da circa un trentennio al centro di una fiorente stagione di studi che va mettendo l’accento sul contributo che essa ha dato alla definizione degli spazi intellettuali e commerciali dell’area mediterranea e atlantica in età moderna; all’attuazione delle politiche di ripopolamento e colonizzazione, di promozione dell’agricoltura, dei commerci, delle manifatture. Le diaspore, e quella greca specialmente, hanno giocato un ruolo significativo e ancora poco noto anche nel processo di definizione degli Stati europei quali entità amministrative e corpi territoriali. La relazione che si presenta al Cosmomed discute il nesso tra il protagonismo sociale, politico ed economico delle diaspore greche e la costruzione degli Stati e degli imperi europei e, attraverso l’analisi di alcuni casi di studio inediti, analizza il ruolo giocato dalla dispersione greca nella trasformazione del Mediterraneo in una tessera
essenziale del germinale sistema di relazioni globali e nella costruzione degli imperi coloniali extra-europei.

Alessandro Pes (Dip. di Scienze politiche e sociali, UniCa)
Italiani in Etiopia e cosmopolitismo (post)coloniale

La comunità italiana di Addis Abeba si forma durante il periodo di occupazione coloniale dell’Italia sull’Etiopia (1936-1941). Prima di questo periodo nel paese del Corno d’Africa c’erano state presenze di italiani, anche residenti per lunghi periodi, ma queste presenze non avevano portato alla formazione di gruppi oraganizzati per provenienza nazionale. Il periodo coloniale, con l’arrivo ad Addis Abeba di migliaia di italiani e con una spinta politica al popolamento italiano dell’Etiopia, portò alla composizione e all’emergere all’interno della variegata società etiopica della comunità italiana concentrate prevalentemente nella capitale. Nel 1941, con l’ingresso delle truppe britanniche in territorio etiopico e il successivo ritorno del negus neghesti Haile Sellassie ad Addis Abeba, la comunità italiana di Addis Abeba perse lo status di comunità del colonizzatore e divenne una delle più numerose comunità di stranieri della capitale del nuovamente indipendente impero etiopico. Il paper, attraverso l’analisi delle interviste condotte ad alcuni membri della comunità italiana di Addis Abeba intende indagare come quella comunità abbia, tra il 1941 e il 1987 (fine del governo del Derg), modificato le proprie relazioni con il resto della società etiopica mutando il proprio status da comunità di colonizzatori a comunità di emigrati, mettendo in risalto il rapporto tra esaltazione dell’Italianità e affermazione del cosmopolitismo.

Valeria Deplano (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Contaminazioni (post)coloniali: la comunità siciliana dalla Tunisia alla Sardegna degli anni ’60

Il crollo del sistema coloniale, ha influito fortemente sulle tratte migratorie, in particolare su quelle mediterranee.
In particolare in questo periodo l’Europa vede il compiersi della trasformazione che la rendeva non più continente di partenza dei flussi migratori, bensì di approdo. Oltre la metà delle persone che la raggiungono dopo il 1945, partendo dai paesi in via di decolonizzazione, sono di origine europea, persone che sono (o si sentono) costrette ad abbandonare i territori in cui vivevano, e in cui spesso avevano vissuto le proprie famiglie. L’esperienza della mobilità postcoloniale si innesta quindi su una precedente storia individuale o familiare, che – come sottolineano Cooper e Stoler– ne ha complicato identità e ha causato contaminazioni culturali. Il “ritorno” in Europa è alla base di altre contaminazioni e complicazioni. Il presente paper indaga proprio questa prospettiva, che mette alla prova un concetto di identità – nazionale ma non solo – monolitico, ricostruendo la vicenda degli agricoltori siciliani di Tunisia, di formazione francese, che lasciano il nord Africa per l’Italia in seguito alla nazionalizzazione delle terre voluta da Bourguiba dopo il 1958, e focalizzandosi in particolare su quelli che tra loro arrivano poi in Sardegna. In particolare, utilizzando le carte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero dell’Agricoltura e dell’ETFAS, il paper analizza come la questione dell’appartenenza venga declinata, vista e affrontata dalle istituzioni, dalle comunità locali con cui i profughi vengono in contatto nella penisola italiana e in Sardegna, e dai profughi stessi.

José Manuel Maroto Blanco (Dep. Historia contemporánea, Università di Granada)
La “Negritude” nella Spagna contemporanea

La presenza africana in Spagna è stata sistematicamente esclusa dalla storiografia ufficiale. Il ruolo svolto dal paese iberico nella schiavitù e nel traffico di persone provenienti dall’Africa subsahariana, così come nel periodo di colonizzazione nell’attuale Guinea equatoriale non fa parte dei libri di testo della scuola. Non vi è, inoltre, alcuna traccia delle comunità afro nei discorsi ufficiali che riguardano città come la Siviglia del XVII secolo (dove arrivarono a rappresentare il 10% della popolazione e possedere proprie istituzioni organizzative), né tantomeno di persone di grande prestigio come Eleno de Céspedes (prima donna ufficialmente riconosciuta come chirurgo in Europa) o di un’intera generazione di equato-guineani che sono diventati ufficialmente “apolidi” dopo l’indipendenza del paese nel 1968.
Con questo breve contributo si intende proporre una revisione su un argomento delicato che sta gradualmente trovando spazio nel dibattito accademico e letterario, grazie anche alla presenza ed al lavoro di ricercatori africani, i quali stanno alzando la voce per ricostruire la storia della Spagna nell’età moderna e contemporanea rimettendo in discussione l’attuale storiografia.

4. LA CITTÀ COSMOPOLITA
Coordina Patrizia Manduchi (Dip. di Scienze politiche e sociali, UniCa)

Andrea Corsale (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Tracce di cosmopolitismo e rappresentazioni della diversità culturale: il patrimonio ebraico di Siracusa

Il contributo tratta il tema della selezione, interpretazione e valorizzazione del patrimonio culturale in relazione ai fenomeni turistici ad esso legati, attraverso l’analisi del complesso rapporto che si instaura fra la presenza di identità etnico-culturali minoritarie, presenti o passate, e la rappresentazione dei sistemi socio-territoriali “plurali” e “cosmopoliti” da essa generati e definiti. Viene trattato, in particolare, il tema del turismo legato al patrimonio ebraico, una nicchia in forte crescita in ambito europeo e non solo, con un focus sul caso di Siracusa, una città la
cui immagine è tuttora legata a un lontano passato cosmopolita e multiculturale, che tende a specializzarsi sullo sviluppo del turismo culturale, anche attraverso prodotti di nicchia come quello ebraico, al fine di rafforzare e diversificare il suo status di destinazione culturale di rango internazionale. Diverse componenti del mondo ebraico, locale e non, così come altri stakeholder non ebrei, interessati alla valorizzazione di questa nicchia turisticoculturale, producono rappresentazioni e pratiche diverse e divergenti. Le narrazioni e le visioni di sé e dell’altro che entrano in gioco vengono qui messe a confronto all’interno di una più ampia discussione sulla complessità delle rappresentazioni del cosmopolitismo connesse al turismo culturale e alle dinamiche identitarie transnazionali.

Monica Iorio (Dip. di Scienze politiche e sociali, UniCa)
Gli italiani nella cosmopolita isola di Malta

Per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo, Malta è sempre stata un crocevia di popoli e culture, le cui tracce sono ben visibili nell’architettura civile e militare, nella lingua e perfino nella tradizione culinaria. Oggi Malta è il quinto Stato dell’Unione Europea ad ospitare più stranieri in rapporto alla popolazione totale (circa 14%). Se da un lato le frontiere di questo piccolo Stato sono praticamente sigillate per i meno desiderati boat people, dall’altro non smettono di essere varcate da lavoratori, imprenditori, pensionati, liberi professionisti, investitori finanziari e cittadini a pagamento attratti dalla vivacità economica, dal regime fiscale leggero e dalle strategie attuate dal governo maltese per intercettare capitali esteri. Dopo i britannici, gli italiani costituiscono la comunità europea più numerosa nell’arcipelago. Attraverso un approccio metodologico quali-quantitativo, il presente contributo traccia un quadro di questa comunità, soprattutto in relazione ai percorsi di lavoro. Dallo studio emerge che gli italiani che vivono a Malta lavorano per lo più come dipendenti nel settore turistico, nel commercio, nei servizi e nell’edilizia. Non sempre i ruoli svolti sono in linea con il titolo di studio conseguito, con le competenze maturate e con le aspirazioni. I risparmi sono pochi o nulli (anche a causa del vertiginoso aumento del costo degli alloggi) e la crescita professionale è limitata. Nonostante l’esperienza migratoria sia considerata non del tutto soddisfacente, per ora, non vi sono progetti di rientro in Italia, patria che si percepisce economicamente e politicamente asfittica.

Tatiana Cossu (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
“Siamo noi che cambiamo”: costruzioni identitarie e storie migranti nella città metropolitana

Che cosa vuole dire essere uno straniero, essere un ospite, essere a casa? Intorno a queste domande si intrecciano le riflessioni di un gruppo di giovani provenienti da diversi paesi africani, che hanno lo status di rifugiati o il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma anche giunti nell’isola per motivi di studio, i quali hanno accettato di confrontarsi e di condividere le loro storie nell’ambito del progetto “Migranti nella città metropolitana” avviato da CosmoMed con la collaborazione di istituzioni e organizzazioni attive nel territorio di Cagliari. Nell’intervento si
intende focalizzare l’attenzione sui differenti vissuti migratori emersi dalle storie di vita narrate da questi giovani e le modalità di costruzione/ridefinizione della propria identità, e del proprio progetto di vita.

Gianluca Gaias (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Cagliari cosmopolita

Il contributo intende fare luce su alcune dinamiche che ricadono concettualmente sotto la lente del cosmopolitismo, mettendo in relazione urban studies e migration studies. Crocevia dove s’intersecano attori e cose del cosmopolitismo, le città e con esse le società si metamorfizzano (Guerroudj, 1995). L’urbano, laboratorio della contemporaneità, ci porta a identificare una moltitudine di spazi e di situazioni riconducibili a tali dinamiche: il mondo rientra nello spazio urbano, la città torna ad essere cosmos. Si tratta di un “cosmopolitismo dal basso”
(Tarrius, 2002), un “cosmopolitismo dal volto umano” (Mellino, 2005), apportato da molteplici manifestazioni della diversità culturale. Nel caso di Cagliari, città che si riscopre relazionale, interculturale e cosmopolita, uno sguardo attento suggerisce di adottare nuove prospettive di ricerca, dai sopralluoghi urbani alle “geografie dell’ascolto” (Guarrasi, 2012). Così si mettono in evidenza alcune dinamiche di sovrapposizione e intersezione culturale che si manifestano nello spazio pubblico facendone luogo di incontro e di discussione. Tramite queste forme di esistenza, le reti di relazione e i luoghi che le animano “da altrove”, producono “spazi altri”, consentendo a chi li frequenta, abita e partecipa di ritrovare i tratti di un senso di appartenenza culturale da ricomporre in un territorio differente. La variabilità degli usi e dei tempi cui lo spazio è sottoposto coglie quegli elementi invisibili e quelle voci inascoltate che risiedono negli interstizi della città contemporanea (Cattedra, 2003). Tali luoghi del cosmopolitismo favoriscono il confronto di appartenenze molteplici, modificando assetti sociali e forme consolidate della città di Cagliari.

Silvia Aru (Amsterdam Institute for Social Science Research, Universiteit van Amsterdam)
Cosmopolitismo al confine: ospitalità, solidarietà e lotta politica a Ventimiglia

Ventimiglia è una delle metonimie di un’Europa politicamente in crisi (Agier, 2018). Se si osserva la città ligure attraverso le lenti analitiche fornite dai border studies, emerge chiaramente la crescente violenza del sistema europeo di controllo e gestione dei flussi migratori. Ma Ventimiglia, in quanto confine, può essere (in maniera quasi ossimorica) anche spazio privilegiato di indagine di una modalità altra di abitare gli spazi e concepire le mobilità. Partendo dagli spunti teorici offerti dal dibattito sul cosmopolitismo, il contributo si propone di indagare le varie
forme di ospitalità e supporto offerte ai migranti da parte di gruppi tra loro fortemente eterogenei: dai militanti no-border ai volontari gravitanti intorno alla Caritas, passando per gli operatori delle ONG, gli attivisti provenienti da varie parti del mondo e i ricercatori militanti. Questa presenza composita non sarà di per sé collegata a una presunta natura “cosmopolita” della città di Ventimiglia. All’interno del percorso analitico proposto, il cosmopolitismo verrà indagato principalmente come orizzonte di senso che motiva, secondo direttrici anche fortemente differenziate (umanitarismo, internazionalismo etc), il supporto ai migranti e al loro diritto alla mobilità.

Marcello Tanca (Dip. di Lettere, Lingue e Beni Culturali, UniCa)
Geografia e migrazione: lo sguardo cosmopolita del fumetto

Anche se in misura meno marcata rispetto ad altri media, negli ultimi anni i fumetti sono diventati un tema di ricerca geografica. Nel 2017 il Festival Internazionale di Geografia, che si svolge a Saint-Dié-des-Vosges, ha ospitato eventi dedicati alla bande dessinée, ma già dall’anno precedente assegna un premio al miglior fumetto “geografico”. Volumi come Comic Book Geographies curato da J. Dittmer (2014) e gruppi di ricerca – come quello dedicato in Italia a “Geografia e Media” coordinato da F. Amato ed E. dell’Agnese – mostrano interesse e varietà negli approcci alla narrazione per immagini (cfr. de Spuches 2016). Nel 2019 il Comicon, il salone internazionale del fumetto di Napoli, ha ospitato la mostra dal titolo Migrando, gridando, sognando. Storie di migranti nello sguardo del fumetto mediterraneo (con opere di Gipi, B. Rima, M. Rizzo e L. Bonaccorso, F. Mannocchi e G. Costantini, O. Selmi, Migo, N. Dhab, M. Mihindou, A. Ben Nessib, S. Zerrouki). Sulla falsariga di iniziative come questa, il contributo si propone di indagare la rappresentazione dei processi migratori nell’area Mediterranea attraverso il fumetto e in particolare quelle graphic novel in cui il linguaggio grafico si pone al servizio del reportage giornalistico e dell’urgenza di raccontare direttamente “sul campo” la cronaca di questi anni. Nel tentativo di evidenziare un possibile sguardo cosmopolita del fumetto, si evidenzieranno le modalità con le quali i singoli autori – diversi per nazionalità cultura, stile, obiettivi – rappresentano gli attori (scafisti, migranti, soccorritori, ecc.) e le fasi del percorso migratorio, dalla partenza al soccorso in mare e all’inserimento, riuscito o mancato, nella società di accoglienza e così via.

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