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Hic abundant leones

COSMOMED teorizza lo slow happening attraverso una rielaborazione fenomenologica dell’uso della Performative Turn, capace di attuare un cambiamento paradigmatico delle Scienze Umane, così da renderne più chiaro il ruolo in un contesto comunitario. La forza sempre più palese della performance, come atto concreto di fusione tra arte e fruizione, assume il duplice compito di contestualizzare la ricerca scientifica in uno spazio-teatro che del Situazionismo coglie il carattere rituale e collettivo, aprendo nuove vie di riflessione e possibili strade da percorrere. COSMOMED può quindi essere inteso come un momento fortemente performativo in cui l’interazione luogo contenuti-attori-pubblico si fa generatrice di esperienze affatto prevedibili, dal carattere effimero e paradossale – un arricchimento -, rispetto al senso positivista della ricerca che qui mai si finge, ma si svolge all’interno del COSMOLAB.
COSMOMED è uno spazio utopico per l’utopia del cosmopolitismo, posto com’è sotto il suo cielo stellato. Fronteggia il mare come uno scoglio su cui arrampicarsi sopra i mattoni di malta e Storia, crocevia di popoli in cammino su ponti liquidi. COSMOMED è rifugio dal “tempo senza epoca”, come lo definisce Mario Tronti riferendosi al contemporaneo, perché la ricerca non si arresta ma continua ancora e ancora. COSMOMED è archivio vivente di emozioni con la sua mostra TRACCE che ci immerge nella sacralità, nel rispetto dell’individuo e della collettività, ovunque siano, sotto gli occhi fatti di sole dei bambini, le mani degli artisti, il pensiero di chi sogna, di chi ama intensamente, di chi piange, si dispera, prega, fugge, vive o scompare.

COSMOMED è una trincea di libri con la sua BIBLIOTECA in TRANSITO che offre protezione contro i gelidi venti dell’inverno dello spirito. COSMOMED è il centro ideale di una mappa fisica ed emotiva, dove per quindici giorni è d’obbligo il passaggio, ma attenzione: hic abundant leones. 

Efisio Carbone

Cosmopolitismo: la consapevolezza di essere cittadini del mondo

Questa parola è molto antica. Inventata dai filosofi greci, rimanda alla concezione del Mondo e a chi lo abita: il cosmo (koquoc, l’universo ordinato) e il cittadino (nolitns). Di un Mondo inteso come una grande Polis che abbraccia il pianeta tutto. Nel corso di 2500 anni, attraversando la storia e i luoghi di questo mondo, il significato del cosmopolitismo è mutato. Si è trasformato e continua a farlo, assumendo varie accezioni. Ma la parola è ancora qui oggi in mezzo a noi, ad animare il dibattito della ricerca universitaria, il dibattito della sfera politica e di quella civile. Però, il cosmopolitismo è anche prassi sociale. Pratica individuale, cosciente o inconsapevole, e prassi collettiva. E’ una pratica ordinaria del quotidiano e del territorio, una pratica operatoria, esplicita, situata o conflittuale che sia. E ciò vale tanto nel passato, che nel Mondo globalizzato e digitale della nostra contemporaneità transnazionale, purtroppo non esente da derive di disumanizzazione. Quali sono le capacità delle società a integrare e mobilitare le “pluralità di appartenenze”?, si chiede il filosofo Pascal Bruckner (Le vertige de Babel, 2000).
La nostra lettura del cosmopolitismo – quella di Cosmomed – scevra dal ritenersi elogio acritico di una società armonica, priva di tensioni o di conflitti fra gruppi, comunità o minoranze nello spazio della Terra, va colta come un’indagine e un’interrogazione sulle possibilità pragmatiche che hanno le società di costruire forme di convivenza ed inclusione nella complessità identitaria del mondo, che è fatto di diversità culturale, religiosa, etnica e linguistica. Ad essere indagate sono qui le geografie del Mediterraneo. Quel “mare di mezzo” che bagna le nostre terre, fatto di approdi, di scali e di transiti e d’incontri; ma anche di esodi, di frontiere invisibili e liquide, di scontri e di naufragi.
Quel Mediterraneo di cui il cosmopolitismo è l’essenza e l’anima: un valore che si è generato passando attraverso quel cosmopolitismo pre-moderno dell’imperialità romana o ottomana, per quello asimmetrico ed egemonico delle società coloniali dell’800, per poi risorgere ancora oggi, a dispetto delle chiusure identitarie cristallizzate nelle indipendenze nazionali del Mediterraneo della seconda metà del ‘900 e delle derive dei nuovi nazionalismi contemporanei detti post-identitari e anti-comunitari.

Raffaele Cattedra

CosmoMap. Carte, rotte e percorsi

 

ENGLISH VERSION

Hic abundant leones

COSMOMED theorizes the slow happening through a phenomenological re-elaboration of the use of the Performative Turn, able to implement a paradigmatic change in Human Sciences, to make its role in a community context clearer. The increasingly evident force of performance, as a concrete act of fusion between art and fruition, takes on the dual task of contextualizing scientific research in a space-theatre that captures the ritual and collective character of Situationism, opening new avenues of reflection and possible paths to go through. COSMOMED can, therefore, be understood as a highly performative moment in which the interaction between place – content – actors – audience becomes the generator of unpredictable experiences, with an ephemeral and paradoxical character (enrichment) with respect to the positivist sense of research that is never pretended here, but takes place inside the COSMOLAB.
COSMOMED is a utopian space for the utopia of cosmopolitanism, placed as it is under its starry sky. It faces the sea like a rock on which to climb over the bricks of History, a crossroads of travelling peoples on liquid bridges. COSMOMED is a refuge from the “time without epoch”, as Mario Tronti defines it referring to the contemporary because the research never stops but continues again and again. COSMOMED is a living archive of emotions with its exhibition TRACCE that immerses us in the sacredness, in the respect of the individual and the community, wherever they are, under the solar eyes of children, the hands of artists, the mind of those who dream, of those who love intensely, of those who cry, despair, pray, escape, live or disappear.

COSMOMED is a trench of books with its TRANSIT LIBRARY that offers protection against the icy winds of the winter of the soul. COSMOMED is the ideal centre of a physical and emotional map, where the transition is mandatory for fifteen days but beware: hic abundant leones.

Efisio Carbone

Cosmopolitanism: the awareness of being citizens of the world

This word is very old. Invented by Greek philosophers, it refers to the conception of the world and to those who live there the cosmos (koguoc, the ordered universe) and the citizen (Torinns). Of a World understood as a large Polis that embraces the whole planet. Over the course of 2500 years, through the history and places of this world, the meaning of cosmopolitanism has changed. It has been transformed and continues to do so, assuming various meanings. But the word is still here today among us, to animate the debate of academic research, the debate in the political and civil spheres. However, cosmopolitanism is also social practice. Individual, conscious or unconscious, and collective practice. It is an ordinary practice of everyday life and territory, an operative, explicit, situated or conflicting practice. And this is true both in the past and in the globalized and digital world of our transnational contemporaneity, unfortunately not free from dehumanization drifts. What are the capacities of societies to integrate and mobilize the “plurality of belonging”? the philosopher Pascal Bruckner asks himself (Le vertige de Babel, 2000). Our reading of cosmopolitanism – that of Cosmomed – devoid of considering it an uncritical praise of a harmonious society, devoid of tensions or conflicts between groups, communities or minorities on Earth, must be taken as an investigation and a exploration on the real possibilities that societies have to build forms of coexistence and inclusion in the complexity of the identity of the world, made up of cultural, religious, ethnic and linguistic diversity. The geographies of the Mediterranean are being investigated here. That “middle sea” that bathes our lands, made up of landings, stopovers and transits and meetings; but also of exodus, of invisible and liquid frontiers, of clashes and shipwrecks. That Mediterranean of which cosmopolitanism is the essence and the soul: a value generated by passing through that pre-modern cosmopolitanism of Roman or Ottoman imperiality, the asymmetrical and hegemonic cosmopolitanism of the 800 colonial societies, to then rise again today, despite the identity closures crystallized in the national independences of the Mediterranean in the second half of the ‘900, and the drifts of contemporary so called post-identity new nationalisms.

Raffaele Cattedra

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